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Intervista, il giornalista non è obbligato alla verifica della notizia

AUTORE:
Redazione
PUBBLICATO IL:
27 Luglio 2013
Casi e Sentenze //

Giornali (ST - fonte image: ilsussidiario)
Roma – LA Suprema Corte di Cassazione ha recentemente aperto “scenari” importanti in merito al principio deontologico nella professione giornalistica di appurare sempre la veridicità di una notizia; questa sia anche appresa mediante le dichiarazioni nel corso di un’intervista.

Secondo gli ermellini del Palazzaccio, infatti, chi opera nell’informazione è dispensato dalla ricerca del riscontro della veridicità della notizia riportata.

Lo ha stabilito la quinta sezione penale della Suprema Corte con la sentenza assolutoria (28502/13) per il direttore e i due redattori della Voce di Romagna portati davanti ai giudici per un articolo inerente la gestione del comitato locale della Croce rossa. La lunga inchiesta era sfociata in una declaratoria di prescrizione del reato di diffamazione a mezzo stampa, ma con l’inevitabile coda dei risarcimenti civilistici.

Il caso era nato dalle interviste rilasciate dagli ispettori dimissionari della Cri locale, in cui erano volati giudizi impietosi sull’operato della presidenza dei primi anni 2000 (“totale sfacelo”- dichiaravano- “gestione basata su interessi personali”), giudizi che i tribunali di merito avevano valutato come eccedenti il diritto di cronaca in quanto non meritevoli della scriminante della “verità”, cosiddetta verità putativa, del fatto raccontato.

Ed è proprio questo l’aspetto che traccia la svolta determinata dalla sentenza della Quinta penale, che riprende, ma attualizzandola, la decisione delle Sezioni Unite che 12 anni fa avevano delineato i principi guida per l’intervistatore.

L’autorevolezza del personaggio interrogato dal giornalista, si legge nella sentenza, è di per sè “la notizia”, al punto che l’interesse pubblico a conoscere la sua opinione diventa “prevalente” anche sugli altri due criteri scriminanti, cioè la continenza della prosa e, soprattutto, la verità dei fatti oggetto delle risposte. In sostanza, la notizia “se anche lesiva della reputazione altrui, merita di essere pubblicata perché soddisfa quell’interesse della collettività all’informazione che deve ritenersi indirettamente protetto dall’articolo 21 della Costituzione”.

In questi casi “la notizia è costituita dal fatto in sè delle dichiarazioni del personaggio altamente qualificato, risultando l’interesse del pubblico ad apprenderla del tutto indipendente dalla corrispondenza al vero del suo contenuto e dalla continenza del linguaggio adottato: pretendere che il giornalista intervistatore controlli la verità storica del contenuto dell’intervista potrebbe comportare una grave limitazione alla libertà di stampa”.

Pretendere poi – continuano i giudici – che il direttore decida di non pubblicare l’intervista solo perchè contiene espressioni “forti”, significherebbe comprimere il diritto/dovere di informare anche perché non è compito del giornalista controllare il linguaggio di chi parla. La notizia infatti è rappresentata dal giudizio forte dell’intervistato verso un altro personaggio. L’unica avvertenza per il giornalista, e quindi per il tribunale, è di valutare bene se chi parla sia un opinion leader, e quindi noto e affidabile.

(A cura dell’Avv. Eugenio Gargiulo)

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