La chiave di lettura del testo del drammaturgo barese proposta fa emergere al meglio l’interesse per l’attualità dell’autore. esordiente come scrittore teatrale negli anni 90 alla tenera età di cinquantacinque anni, tuttavia è legata alla cifra stilistica moderna del minimalismo che tanto piace a Marco Martinelli (uno dei primi estimatori di Tarantino) molto lontana dagli stravolgimenti proposti scenografici o spiazzamenti scenici cui il cartellone sipontino della stagione di prosa 2013/2014 ci ha abituati nei primi spettacoli.
Allo spettatore viene proposto un dislocamento culturale, più che visivo, del mito e prevalentemente nella Piccola Antigone emerge la duttilità della cadenza dialettale. I personaggi femminili, protagonisti assoluti della scena, hanno perso la propria dimensione emotiva e sembrano esistere per un puro scopo meccanico, vittime di un killer più spietato del Caos descritto dai classici: il non senso delle cose che non si possiedono più.
Antigone non ha più un corpo, lo gestisce a zone riservate al sesso e al proprio uomo. Medea ha disposto della vita dei propri figli, durante la guerra. Una forma di potere implosivo, spinto dalla inerzia nel percorso obbligato di uno scopo fittizio (i soldi, il ricongiungimento familiare) fino alla cessazione per urto, Antigone, o alla cessazione per mancanza di un piano di scorrimento, Medea. Sul palcoscenico è stato quindi mostrato uno dei capisaldi impliciti del pensiero moderno contemporaneo: la sopravvivenza dell’uomo a se stesso.
Teatro Kismet OperA
Piccola Antigone e Cara Medea
di Antonio Tarantino
regia Teresa Ludovico
con Teresa Ludovico e Vito Carbonara
spazio e luci Vincent Longuemare
(A cura di Luigi Starace – luigistarace@luigistarace.com)