Edizione n° 5386

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L’attesa è finita

AUTORE:
Redazione
PUBBLICATO IL:
7 Dicembre 2010
Teatro //

L’attesa. Ineluttabile. Aspettare significa vivere. Si nasce attendendo che trascorrano i mesi. Si matura, si evolve. L’attesa è il bollettino del tempo. E’ ciò che consente all’uomo di trarre informazioni su se stesso, che delimita certezza ed incertezza, che apre i vincoli delle sicurezze, spezza le catene del rumore con il silenzio.

L’attesa è la recita della vita. E’ la prova generale. E’ quel che consente di temporeggiare sbagliando o di sbagliare temporeggiando. L’attesa. Contraddittoria come questa bella, affascinante, attizzante signora dei sensi, c’è nulla. Si attende ogni cosa ed il suo opposto nella stessa misura. Fin tanto che il destino lo voglia. Fin tanto che le spire del tempo reale non tornino ad avvolgere l’attendente.


Da sinistra: Leonardo Losavio, Giuseppe Rascio, Roberto Galano
Il Teatro dei Limoni regalerà un omaggio a sua Maestà l’attesa. Ovvero, “Finalmente Godot”. Un self made show, foggiano nell’ideazione, nella scrittura, nella progettazione, nella messa in scena. Lo spettacolo ha debuttato, con grande successo di pubblico, nella rassegna Teatri Possibili dei Solisti Dauni. E, per due fine settimana (questo ed il prossimo), sarà di scena nella sua casa originale di Via Giardino.

Scritto da Leonardo Losavio, diretto da Roberto Galano e musicato da Mario Rucci (in scena, con il primo ed il secondo, ci saranno anche Giuseppe Rascio e Francesco Nikzad, entrambi attori della compagnia foggiana), Finalmente Godot è un concentrato di originalità, pensiero creativo più riflessione, confusione e constatazione del reale.

Nessuno sforzo ambientale. Il luogo in cui i personaggi si muovono è e rimane, anche onomasticamente, lo stesso: il “Palco”. E’ qui, su e nel Palco che il tempo scorre. Avanza inesorabile, invecchia e migliora. O forse peggiora le cose circostanti. E sì, perchè, come in una piccola metafora involontaria della cronachistica super attuale, non sono il progresso e l’evoluzione scientifica a dar senso all’incedere, bensì l’ammasso sempre crescente di rifiuti. Spazzatura morale, la coscienza chiusa in buste ed accantonata nella montagna dell’insulso.

Ed ecco, in tutto ciò, il ritorno in scena di Estragone e Vladimiro, sempre lì, sempre concentrati a rimirare l’orizzonte i attesa del sospirato Godot. Lottano, sperano, credono; concentrano le loro vite in quell’ultima forma resistente dell’attesa. E quando tutto pare perso, eccolo stagliarsi, finalmente. Non inesorabile e stentoreo, ma vecchio e confuso in un barbone bianco da eremita temporale.

Eppure lo spettacolo non rivela se sinceramente l’attesa sia conclusa e se realmente sia Godot il terzo in scena. Ma, nel frangente, poco importa. E’ la vittoria del bisogno sulla verità. Il trionfo della possibile bella bugia alla brutta presa di coscienza.

Becket sarà contento di sapere che, adesso, la sua opera è finalmente conclusa. Sì, Finalmente Godot

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