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La magia dei sensi

AUTORE:
Ferruccio Gemmellaro
PUBBLICATO IL:
14 Agosto 2017
Cultura // Editoriali //

Manfredonia. Platone, sempre costui, insegna che per abituarci a vedere il mondo, occorre incominciare dalle ombre per passare poi ai riflessi; infine, potremo ammirarlo con lo sguardo sollevato.

In coro a tanti filosofi antichi e moderni, anch’egli, comunque vada, ci conduce a trascurare il senso dell’olfatto, del tatto e del gusto, plagiati dal tradizionale amore che nutriamo nei riguardi della vista e dell’udito, almeno noi occidentali. I Giapponesi, infatti, hanno imparato in maniera straordinaria il piacere tattile e ci sono al mondo individui capaci di affrontare agevolmente i meandri della terra con la sola guida dell’olfatto.

Ci siamo arenati nella credenza che la percezione di quei sensi rifiutati non sia intersoggettiva, in altre parole non reciprocamente trasmissibile.
Provate a infondere nell’amico l’identica sensazione che avete provato nell’accarezzare un oggetto, nell’avvertire un odore, nell’assaggiare una pietanza, provate a descrivere la fonte in conformità a queste sole sensazioni, come se foste ciechi. Un esempio: volete rendere partecipe l’interlocutore che avete gustato una pietanza dall’intenso sapore di aglio ma se costui non conosce l’aglio come fate a descriverlo?

Poi, provate a consegnare idealmente all’amico un’immagine, un suono che vi abbia colpito: la descrizione vi è oltremodo facilitata dalla capacità assunta per abitudine culturale e il consegnatario ne riceverà, ancora per assuefazione percettiva, una sensazione se non speculare, assai vicina all’originale.

In ogni uomo, però, è latente la capacità di sviluppare spontaneamente proprietà sensitive che ignorava. Riporto un significativo brano stralciato dal venticinquesimo capitolo del romanzo “Cinque notti a camminare” di Frederic Prokosch, edito per la prima volta ne 1956 il cui titolo originale è “Age of thunder”.

[ Jean Nicolas pensò quanto fosse bizzarro quel suo perpetuo girovagare nel buio. Gli aveva affinato i sensi, tanto che poteva ormai vedere con il naso, con le orecchie, con la pelle. Con l’olfatto gli riusciva ad avvertire la vicinanza di un sentiero, di un ruscello o di un folto d’alberi. A volte gli sembrava perfino di saper rendersi conto dell’infoltire e diradare di un bosco, dell’elevarsi di un terreno o del suo avvallarsi. La pelle gli era diventata di una sensibilità elettrica. Percepiva l’avvicinarsi di un pericolo dall’instabilità del suolo sotto la pianta dei piedi, da un ramo che scricchiolasse lontano o da un silenzio colmo di presagi; sentiva di possedere le stesse capacità intuitive di un animale: tutte le potenze nascoste n3ll’istinto dell’uomo gli erano fiorite nella oscurità, acquistando la perfezione di uno strumento \…\ ]

C’è di più. Qualunque sia la percezione, essa risuona del nostro pensiero e un nostro qualsiasi pensiero risuona di una percezione; percepiamo e pensiamo, quindi, con la cultura che abbiamo in testa.

L’incombente rischio di cadere nell’ovvietà culturale, nei luoghi comuni, si può superare grazie all’arte: l’uomo della strada articola le descrizioni normalmente in forma ordinaria, schematica; l’artista nelle proprie, si discosta dai propri simili. La percezione e il pensiero sono in stretto connubio con l’emotività delle passioni.

Nell’artista – da includere ogni disciplina – cova un’intelligenza le cui percezioni, il cui pensiero echeggiano di richiamo alla passione del sapere.

Passioni diverse, queste sempre più remote dalla bramosia della conoscenza, dello scibile, tempestano l’animo via via che l’individuo sia meno intelligente.

Il genere umano esemplifica il firmamento: si accendono e si spengono corpi in un’incessante sequenza; nascono individui destinati a essere illuminati di luce riflessa, appaiono uomini splendenti di proprio patrimonio. Esistono, pertanto, uomini radiosi di propri fotoni, magicamente designati ad agire tra noi con misterica ubbidienza.

Sono costoro, gli artisti, gli scrittori, i giornalisti, gli scienziati, gli studiosi, molto spesso purtroppo a rischio delle loro stesse vite, a strappare le nostre esistenze dalle comode seggiole degli opportunismi e del servilismo di massa, dai buchi neri dell’ovvietà e dei luoghi comuni.

(A cura di Ferruccio Gemmellaro, 14 agosto 2017)

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