Una Tosca eroica, vibrante e drammaticamente forte, secondo il dettato del Maestro Alberto Veronesi, che dai toni pastello dell’inizio, nel travolgente amore per il pittore Cavaradossi, si accende nel fatale grido rivoluzionario, per confondersi nei riflessi luminosi, tragici e speranzosi di un’aurora romana di pieno ‘800. E per far proprio l’anelito di libertà diffuso, ma strenuamente soffocato dalla protervia borbonica annidatasi nel cuore del potere dello Stato Pontificio.
Il tutto attraverso una “messa in scena” fedelissima al libretto di Luigi Illica, che la regia di Michele Mirabella fa diventare liturgia moderna e teatrale, per rendere quanto mai “visibile” la trama musicale finemente tessuta da Giacomo Puccini. Giuseppe Verdi ripeteva che: “Copiare il vero può essere buona cosa, ma inventarlo è meglio, molto meglio”. Ecco, “inventare il vero” è la cifra che Puccini prima e Mirabella oggi fanno propria, per onorare il patto con le aspettative di un pubblico attento ed esigente: l’impegno costante di “ribadire l’emozione”.
Lo testimoniano il cammeo che lo stesso Puccini riserva al maestro Verdi, nel parallelismo del ventaglio usato da Scarpia, col fazzoletto di Jago nell’Otello (citazione autoreferenziale Jago/Giacomo), quale strumento di gelosia senza confini. Nonché i ripetuti accorgimenti della regia “mirabelliana”, che racconta la musica col teatro e tutto quello che questa affascinante parola-concetto comprende e rappresenta.
Scena dopo scena, dal contrasto stimolante di una sorta di pala d’altare col ritratto accattivante della Maddalena (la Chiesa in divenire) con la classica e statica statua di una Madonna pudicamente ammantata. La stessa chiesa (S. Andrea della Valle) che si spacca, all’inizio del secondo atto, per mostrare come “nel suo ventre sia custodito il potere ed il suo abietto esercizio”, sottolinea il regista. Un Te Deum curato in ogni dettaglio, la cui composizione corale mette infine in evidenza “la falsa devozione di Scarpia” (inginocchiato in senso opposto alla Sacra Ostensione).
Fino all’intimo omaggio al Teatro, in senso lato, che si fa affetto autentico per il ritrovato e amato Teatro Petruzzelli. Quando un suggestivo gioco di luci lo “accende” nel Vissi d’arte: l’aria più celebre cantata da Tosca, nel più drammatico dei passaggi di una trama che la vorrebbe “vinta”, ma che invece la restituisce esaltata nel riscatto, nel coraggio e nella determinazione. Una Tosca “emozionante”, che risveglia entusiasmi sopiti in un pubblico chiamato, negli ultimi tempi, a confrontarsi con un repertorio più contemporaneo e che le voci di Susanna Branchini (Tosca), Walter Fraccaro (Cavaradossi) e Marco Vratogna (Scarpia) hanno celebrato con timbro dinamico, tonalità melodiche essenziali e cadenze espressive volutamente leggibili. Centrando lo sforzo binario della direzione e della regia, che hanno voluto una versione dell’opera meno “lirica” e con più forza propulsiva nelle frasi cantate. Nelle repliche si avvicenderanno rispettivamente: Annalisa Raspagliosi, Piero Giuliacci e Mario Bellanova.
Un successo corale che coinvolge l’Orchestra della Fondazione Petruzzelli, i cori (compreso quello delle voci bianche diretto da Emanuela Aymone), il light design Franco Ferrari, gli scenografi Alida Cappellini e Giovanni Licheri, la costumista Giusi Giustino. Una ricerca del dettaglio nelle soluzioni sceniche, che ha portato a Bari anche il sistema di campane dell’Orchestra dell’Opera di Roma: il meccanismo restaurato che lo stesso Puccini aveva definito il più fedele al suono reale delle campane di Roma dell’epoca.
gelormini@affaritaliani.it